"Le donne e il governo della città"/Il segretario del Pri al convegno di Reggio Calabria

Mazzini e l’uguaglianza con il mondo femminile

Intervento al convegno "Le donne e il governo della città", Reggio Calabria, Palazzo S. Giorgio, sabato 10 luglio 2010

di Francesco Nucara

Da mazziniano convinto non posso non accennare al tanto trascurato ruolo delle donne nella storia. Ruolo che purtroppo, e scandalosamente, non viene rivalutato neanche nell’attuale contingenza delle celebrazioni per i 150 anni dell’Unità d’Italia.

Cito testualmente la pagina che Mazzini nel suo scritto fondamentale "Dei Doveri dell’Uomo", dedicò alla famiglia. Superfluo rimarcare che quando egli parla dei doveri dell’uomo intende il concetto in maniera universale. L’Apostolo Genovese infatti afferma: "Amate e rispettate le donne. Non cercate in esse solamente un conforto, ma una forza, una ispirazione, un raddoppiamento delle vostre facoltà intellettuali e morali. Cancellate dalla vostra mente ogni idea di superiorità: non ne avete alcuna. Uno storico pregiudizio culturale che ha creato, con una educazione disuguale e una perenne oppressione di leggi, la presunta inferiorità intellettuale. Ma la storia delle oppressioni non vi insegna che chi opprime s’alloggia sopra un fatto creato da lui?".... e continuando: "Or noi fummo e siamo, tuttavia, rei di una colpa simile verso la donna. Allontanate da voi fin l’ombra di quella colpa; però che non è colpa più grave davanti a Dio di quella che divide in due classi l’umana famiglia e impone o accetta che l’una soggiaccia all’altra". Siamo nel 1860. Di passi ne abbiamo fatti molti, ma ancora del tutto insufficienti.

Quando parlo dell’oblio caduto sulle donne che hanno contribuito all’Unità d’Italia, parlo di quella distinzione che faceva Mazzini sul soggiacere della donna rispetto all’uomo. Eppure di donne che hanno contribuito all’Unità d’Italia ce ne sono state parecchie!

E’ facile per noi tutti ricordare Anita, una straniera morta nelle Valli di Comacchio per il nostro Paese. Un’altra straniera che subì l’onta del carcere fu la giornalista inglese Jessie White che la condivise con il patriota repubblicano Alberto Mario, conosciuto proprio nel comune stato di detenzione, e che poi sposò. Ma vi furono tante donne che si batterono in modo garibaldino, cioè con le armi in pugno per liberare il Mezzogiorno d’Italia dai Borboni.

E’ pur vero che la maggior parte delle donne che diedero un contributo al nostro Risorgimento erano nobildonne o comunque donne acculturate, da Cristina Trivulzio di Belgiojoso a Bianca De Simone Rebizzo, dalla Contessa di Castiglione a Elena Casati Sacchi, ecc. A noi piace ricordare più di tutte Antonietta De Pace di Gallipoli.

Noi però non dimentichiamo il ruolo delle popolane che sul Gianicolo combatterono per far vivere la Repubblica Romana. Le popolane le troviamo con il fucile in mano e nella loro opera indefessa di infermiere durante tutti i moti rivoluzionari dell’Ottocento.

Ma furono le donne che avevano studiato, che avevano viaggiato e conosciuto quindi altri Paesi democratici, quelle che anelarono alla libertà loro e del loro Paese.

Mazzini riteneva fondamentale l’istruzione, tanto da divenire egli stesso maestro dei figli degli immigrati italiani a Londra, e noi, nel 2010, dobbiamo approvare un ministro che taglia i fondi all’istruzione?

Il problema dell’emancipazione della donna è stato così culturalmente e profondamente maltrattato che non sappiamo chi deprecare maggiormente.

Aristotele che sosteneva: "Il maschio è destinato alla vita pubblica, la femmina alla vita domestica e alla procreazione"?

Oppure Tertulliano che considerava la donna "la porta del diavolo"?

O meglio ancora Giovanni Crisostomo, anacoreta e santo, per cui la donna è "più dannosa delle bestie selvagge"?

E perché per la Chiesa esistevano solo le streghe e non gli stregoni, tanto da poter affermare, nella Bolla di Innocenzo VIII del 1484, "Summis Desiderantes Affectibus", che bisognava estirpare questo male?

E ancora nel 1891 Papa Leone XIII, nell’enciclica "Rerum Novarum", asseriva: "Certi lavori non si confanno alla donna, fatta da natura per i lavori domestici, i quali grandemente proteggono l’onestà del debole sesso".

Ovviamente non tutte le colpe sono della Chiesa Cattolica, ma possiamo ben affermare che questo era lo stato dell’arte finché non arrivò Giovanni Calvino (XVI secolo) che diceva: "Rifiutare l’errore di coloro che pensano che la donna sia stata creata soltanto per popolare il genere umano".

E ancora nel 1793, poco dopo la Rivoluzione francese, veniva ghigliottinata Marie Gouze, rea di aver scritto e pubblicato nel 1791 la "Dichiarazione dei diritti delle donne e delle cittadine".

Andiamo avanti: nel 1912 il Parlamento Italiano respingeva il voto alle donne motivandolo con il "diffuso analfabetismo delle medesime", come se tutti gli uomini fossero all’epoca alfabetizzati. Dobbiamo aspettare Mussolini (1924) perché le donne possano andare al voto solo per le amministrative … ma di lì a poco al voto non ci andarono né donne né uomini perché furono abolite le consultazioni elettorali.

La paura del mondo maschile è ancora la stessa che pervadeva Catone il Censore: "Non appena (le donne) diventeranno vostre uguali vi comanderanno".

E’ ora di volere fortemente affermare, con parole ed azioni, l’anelito maschile all’uguaglianza, morale, civile e politica, con il mondo femminile. Solo il raggiungimento di questo obiettivo, ottenuto con serenità e impegno serio e sempre coerente, significherà un grande passo verso il vero progresso umano e sociale, degno di una nazione antica ma carica di civiltà come l’Italia.